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J. S. Bach, dai Preamboli e Fantasie alle Invenzioni e Sinfonie

    L’interpretazione delle composizioni bachiane a due e tre voci attraverso le fonti autografe: una consapevole scelta metodologica

    Il corpus bachiano delle composizioni a due e a tre voci BWV 772-801 (quindici numeri ciascuno, per un totale di trenta brani) è stato il principale argomento per l’anno 2022 del progetto J. S. Bach Clavier Werke.

    Un elemento che si è rivelato essenziale nella preparazione dei concerti e delle relative interpretazioni è stata la consultazione delle numerose edizioni scientifiche moderne. Sono infatti oramai disponibili in commercio non poche edizioni a stampa definite urtext, “conformi all’originale”: ossia prive di interventi arbitrariamente inseriti da un revisore.

    Leggi anche: Johann Sebastian Bach e le opere per Clavier. Il catalogo BWV

    Il problema delle fonti

    Alle edizioni urtext va riconosciuto l’indubbio valore in ambito soprattutto propedeutico e didattico, nonché il ruolo assunto nell’ambito del fenomeno della Seconda Bach Renaissance, tra gli Anni Cinquanta e il Duemila.

    Nate con l’intenzione di fornire tutta una serie di strumenti d’approccio al testo musicale grazie anche ad oggettivi criteri metodologici, le edizioni urtext hanno contribuito in maniera consistente ad una conoscenza filologica delle opere bachiane.

    Il limite delle edizioni urtext esistenti è però quello di creare comunque una barriera o filtro, più o meno giustificato, tra l’esecutore (ossia l’interprete) e la fonte redatta a suo tempo dall’autore, ritenendo il primo non in grado di compiere da sé sulla seconda le opportune scelte metodologiche ed interpretative.

    Illuminante in questo senso quanto accaduto proprio con alcune opere clavicembalistiche.

    In più di un caso, alla Neue Bach Ausgabe, e di conseguenza a tutte le edizioni ad essa correlate (Bärenreiter, Henle e Wiener, giusto per citare le più famose) il sistema filologico tout court andò letteralmente in crisi per la presa d’atto di più fonti autorevoli, apparentemente tutte di prima mano e autografe, ma tra loro contrastanti nei contenuti.

    Al momento della redazione di numeri a stampa relative a note composizioni come le cosiddette Suites Inglesi e Francesi, e guarda caso proprio anche con le Invenzioni e Sinfonie, i gruppi di ricerca si trovarono in una situazione d’impasse per l’eccessiva presenza di versioni alie, tra loro non gerarchicamente catalogabili, che rendevano di fatto impossibile una lettura mediata sintetica e ragionata di tutte le informazioni disponibili.

    Certo, il curatore principale si assunse in molti casi il ruolo di arbitro, facendo anche conto sulla propria esperienza ed autorità. Ma le scelte effettuate, in più di un’occasione, si rivelarono quanto meno discutibili, se non proprio ingiustificate.

    Come inevitabile conseguenza, si cercò di ovviare il problema ristampando i numeri su indicati, con l’inserimento quanto meno parziale delle versioni alternative (o meglio, di quelle versioni alternative ritenute più importanti); ma è indubbio che venne meno un principio di saldezza monolitica nella riproposizione moderna della creazione bachiana.

    A mio parere, il vulnus della situazione consisteva nel residuo di una concezione post-romantica di lettura della composizione barocca. Ossia, che una, ed un’unica idea dell’opera musicale fosse sistematicamente applicabile anche ad un compositore come J. S. Bach.

    Non è un caso che si sia trattato di una posizione dichiaratamente condivisa nel XX secolo, che oggi, per molti versi, anche alla luce delle tante prove documentarie, è in buona parte superata.

    I manoscritti autografi bachiani e le copie

    A differenza di quanto si creda, tranne che per poche opere stampate in vita dall’autore o di rari esempi di “bella copia”, presumibilmente definitive, non possediamo oggi documenti che possano considerarsi univoci per molte importanti composizioni bachiane.

    Il caso delle Invenzioni e delle Sinfonie, con circa una sessantina di fonti catalogate, databili tra il XVIII e il XIX secolo, è emblematico per descrivere una situazione tutt’altro che rara nello storico processo di documentazione della musica manoscritta.

    In un’epoca in cui non esistevano mezzi meccanici di riproduzione come la fotocopiatrice e in tempi più recenti il computer, era infatti essenziale per la sopravvivenza del repertorio la redazione a mano di copie cartacee, in genere in bella grafia (Anna Magdalena, la seconda moglie di Bach, era in merito particolarmente esperta, in grado di imitare quasi alla perfezione la scrittura del noto consorte).

    Le stesse copie avevano anche una funzione didattica, come appunto nel caso del Genio di Eisenach: infatti, uno dei primi compiti assegnati ai tanti figli ed allievi era quello di copiare, da un originale autorizzato e definitivo, in molti casi oggi andato perduto, i brani oggetto di studio.

    I manoscritti autografi

    Naturalmente la proliferazione di così tante copie, sia dirette che indirette di prima generazione che esplicitamente posteriori, rende più complicato capire quale fosse il testo musicale originale.

    Ecco perché acquistano particolare importanza quei documenti che, pur essendo compositi (ossia, redatti nel tempo a più mani) comprendano almeno nelle parti iniziali la scrittura riconosciuta come quella originale bachiana.

    Tra queste ultime fonti, se ne segnalano due.

    La prima è il Clavier – Büchlein di W. Friedmann, ecco il titolo originale:

    Clavier-Büchlein. | vor | Wilhelm Friedemann Bach. | angefangen in | Cöthen den | 22. Januari | Ao. 1720.

    Questa fonte appartiene alla statunitense Yale University.

    L’altra riporta in apertura la cosiddetta «Guida Veridica per i dilettanti alla tastiera (Clavires):

    Uffrichtige Anleitung | Wormit denen Liebhabern des Clavires, | […] | Verfertiget von Joh: Seb: Bach. | Hochfuerstlich Anhalt-Coethe- | nischen Capellmeister. | Anno Christi 1723.

    La «Guida Veridica» è invece custodita presso la Biblioteca di Stato di Berlino, con la sigla P 610.

    Entrambe presentano nel frontespizio la firma autografa di Bach.

    Due fonti, due diverse interpretazioni

    I due manoscritti presentano notevoli differenze.

    Nel manoscritto della Yale University, Bach utilizza le diciture di Praeambula e Fantasias, anziché di quelle successive e definitive di Inventiones e Sinfonias presenti nel P 610.

    Inoltre, l’ordine delle medesime composizioni è diverso: nel primo caso si tratta di coppie (due tonalità maggiori e due tonalità minori, alternate: do maggiore – re maggiore; re minore – mi minore; e così via), nel secondo una ordinata successione per gradi ascendente, maggiore – minore (do maggiore – do minore; re maggiore – re minore; e così via).

    Ma le vere differenze consistono in molti altri particolari, tutt’altro che secondari: non solo singole note, ma anche vere e proprie sezioni modificate, quando non abbellimenti e fraseggi alternativi.

    In pratica: due versioni diverse e complementari, aventi identico valore e ragion d’essere.

    Il manoscritto come chiave di lettura interpretativa

    Poter eseguire le due versioni manoscritte in concerto è un’opportunità unica non tanto per un generico pubblico, quanto per il musicista: che può, deve, imparare a conoscere e riconoscere una diversa costruzione musicale da quella ordinaria, rendendone il precipuo significato con un’opportuna adeguata interpretazione.

    L’utilizzo della fonte manoscritta autografa, al di là dell’oggettiva difficoltà di lettura, crea anche uno speciale ed intimo rapporto tra i tre protagonisti dell’atto musicale: testo, interprete e strumento.

    A titolo d’esempio, si pensi a come Bach utilizzi sistematicamente le chiavi di Mezzo Soprano (Chiave di Do) per la mano destra, e di Basso (Chiave di Fa) e Tenore per la mano sinistra.

    Non è una scelta pretenziosa, ma logica: in questo modo si rispetta l’ampiezza di una tastiera barocca standard, di 5 ottave circa, senza l’utilizzo di tagli addizionali, relativamente rari fino alla fine del XVIII secolo: preferendo, appunto, un cambio di chiave ad un artificiale ampliamento del pentagramma. Tranne rare eccezioni, come la Neue Bach Ausgabe, anche molte edizioni cosiddette urtext sorvolano su particolari di questo tipo, utilizzando la Chiave di Sol ossia di Violino, per semplice convenzione moderna, sottovalutandone le conseguenze, ritenendo evidentemente il generico musicista moderno incapace di leggere la musica nelle originali chiavi antiche.

    Riscoprire Bach per rinnovare Bach

    Naturalmente il problema delle fonti storiche è solo la punta dell’iceberg: forme musicali, abbellimenti, stili, problemi di articolazione melodica e di diteggiatura, sottolineano il fatto che Invenzioni e Sinfonie non siano semplici esercizi ginnici per le dita (purtroppo una credenza ancora oggi diffusa). Siamo in realtà in presenza di veri e propri esercizi propedeutici di composizione applicata: perché, come dice lo stesso Bach nella prefazione all’autografo del 1723, questi brani sono passi essenziali per:

    acquisire nell’esecuzione una maniera cantabile e […] impadronirsi sin dall’inizio di un solido gusto nei confronti della composizione[1].


    [1] La traduzione è quella proposta da ALBERTO BASSO, Frau Musika, vol. I, pp. 646-647, Torino, EdT, 1979.

    Leggi anche: Johann Sebastian Bach, Invenzioni e Sinfonie

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