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F. Couperin : un Maestro quasi dimenticato

    Quello tra la musica d’Oltralpe e l’Italia di oggi sembra la perfetta parafrasi del rapporto tra un individuo di cui tutti conoscono il nome ma nessuno sappia chi sia. In estrema sintesi, un breve excursus storico-musicale.
    Nell’Italia settecentesca la musica “straniera” era poco o nulla conosciuta perché erano gli italiani a dettare modi e gusti del resto del continente europeo. Nell’Italia del secolo successivo, pur cominciando ad essere evidente il fenomeno della decadenza italiana, il successo del repertorio lirico permise un lungo e dignitoso crepuscolo della musica nazionale rispetto a quella prodotta in Germania, Francia ed Inghilterra, per fermarsi ai paesi particolarmente protagonisti sulla scena mondiale.
    Nel Novecento, la crisi totale del sistema tonale e le due Guerre portarono ad inevitabili stravolgimenti che non risparmiarono certo vecchie tradizioni, né in Italia né tantomeno all’estero.

    Il Novecento fu però anche il secolo della “riscoperta”: concetto da intendersi, in senso largo, anche in riguardo a precedenti sistemi espressivi musicali. Di qui il grande successo che ebbe in tutta Europa il riaffacciarsi a forme apparentemente “antiche” musicali (basterebbe, nella medesima Francia di quel Couperin oggetto dei nostri interessi, citare i casi di Ravel e Debussy). E, a seguire, dagli anni Cinquanta in poi, la riscoperta di generi e repertori come quelli genericamente definiti “barocchi” e della cosiddetta “musica antica”. In questo già complesso e per molti versi contraddittorio fenomeno continentale, quello italiano prende pieghe e vie ancora più tortuose, quando non si conclude in nulla di fatto.

    Il Convegno Nazionale realizzato nel 2017 dal Conservatorio di Musica “Luisa d’Annunzio” di Pescara, parte integrante del Progetto Couperin 2016/2017 su “L’Art de toucher le Clavecin” (in occasione del terzo centenario dalla pubblicazione a stampa dell’importante testimonianza documentaria musicale) è stata l’occasione per cominciare a ricostruire il complesso puzzle relativo ad una eventuale divulgazione della figura di F. Couperin in Italia. Si è così scoperto che alcune tracce, seppure spesso sterili nei risultati, erano presenti già nel primo Ottocento, grazie alle raccolte pianistiche della Ricordi. In seguito, più di uno studioso italiano aveva cercato di attirare l’attenzione delle giovani generazioni di musicisti sull’importanza e complessità della musica francese del XVIII secolo, e quindi di Couperin. Ma è solo con il Novecento che qualche timido segnale sembra finalmente evidenziarsi.
    In ordine di tempo, e purtroppo unico, segnalo l’intervento del musicologo siciliano Roberto Pagano, che nel 1969 sulla Nuova Rivista Musicale Italiana sottolineava, con un certo sconforto, di come fosse stato completamente disattesa l’occasione del rilancio della figura di Couperin in occasione del secondo centenario della nascita del Nostro (1668-1968).
    Quel grido nel deserto, con inevitabili ritardi e lacune, venne però in minima parte ripreso dalla generazione successiva di ricercatori e musicisti. Va in questa sede citata Gabriella Gentili Verona nel 1989 (ossia oltre vent’anni dopo), la quale dava finalmente alle stampe la prima traduzione in italiano de “L’Art”, ponendo finalmente una soluzione agli inevitabili problemi nazionali di musicisti e studiosi nel rapporto con le lingue altrui, vista la bellezza e la diffusione globale della propria. Un segnale di come, forse, stessero cambiando, seppure lentamente, i tempi.
    Per intenderci, per aspettare una ulteriore traduzione del medesimo trattato si è dovuto aspettare ieri, ossia il 2018, con l’opera di Vera Alcalay e Sara Ricci per la Ut Orpheus.
    A parte quell’opera, solo la monografia pubblicata da L’Epos su Couperin della Consuelo Giglio (tra parentesi, allieva di quel Pagano succitato) poneva almeno le basi per una fonte informativa, seppure a carattere generale.
    Questa lentezza di approccio (naturalmente ancora più mancanti gli approfondimenti) si è manifestata in Italia anche dal punto di vista delle occasioni delle attività concertistiche e di produzione audio (o in tempi più recenti, audiovisivi). Molti conoscono i preludi de “L’Art”, molti clavicembalisti presentano o hanno presentato in concerto ordres (ossia: suites) dei quattro famosi “Libri”. Qualcuno ha anche provato a proporre vere e proprie rassegne monografiche. Ma non si è andati molto oltre.
    La fama di Couperin, oggi in Italia, sia tra i cosiddetti esperti che tra il pubblico generico, è di fatto minima, spesso legata, in realtà, quasi di luce riflessa, a quella del più o meno famoso musicista che la riproponeva o la ripropone. Ad esempio, la conoscenza in Italia di opere trumentali e vocali, come i “Concerts Royaux”, si deve in gran parte al successo di dischi realizzati da personaggi come Jordi Savall. Ma si tratta naturalmente di eccezioni, anziché la norma.
    La figura di François Couperin, soprattutto alla luce dell’analisi e della ricerca, di conseguenza della promozione artistica, è nei fatti ancora all’anno zero.

    Ecco perché il progetto legato al terzo centenario della stampa de “L’Art” che ho avuto il piacere di coordinare nel biennio 2016/2017, tutto sommato minore, sviluppato certamente in sordina e senza grandi mezzi economici e logistici, ancora di più oggi, già a qualche tempo di distanza dalla sua conclusione, assume una connotazione ed un valore insperati, che a personaggi come Roberto Pagano avrebbe fatto certamente molto piacere.

    Massimo Salcito

    Leggi anche: Seminario su L’Art de Toucher le Clavecin di F. Couperin

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