Vai al contenuto

Le Suites “Inglesi” di J. S. Bach – BWV 806-811

    Le Suites “Inglesi”: la prima grande raccolta di composizioni per Clavicembalo del Genio di Eisenach

    J. S. Bach iniziò a comporre le Suites “Inglesi” per clavicembalo intorno al 1715 (periodo di Weimar), completandole presumibilmente tra il 1717 e gli inizi del 1730 (periodi di Cöthen e Lipsia).

    La serie di quelle appunto cosiddette “inglesi”, in particolare, venne scritta tra il 1722 e il 1723, probabilmente nello stesso periodo delle Invenzioni e Sinfonie BWV 772-801.

    Le Suites “Inglesi” rappresentano certamente un importante risultato nell’ambito del progetto J. S. Bach – Clavier Werke

    Le Suites “Inglesi”: un titolo apocrifo

    Per suites bachiane intendiamo una serie di 24 composizioni in tutto, comprese anche alcune varianti, ordinate in vari raggruppamenti principali, oltre ad una serie di composizioni sparse che, pur assumendo nomi diversi, sono a tutti gli effetti suites anch’esse. Ai tre raggruppamenti principali accenneremo in seguito.

    Come per tutte le opere bachiane, anche per le suites “inglesi” si fa riferimento alla catalogazione redatta da Wolfgang Schmieder (1901-1990), autore del Thematische-sistyematisches Verzeichnis de Werke Joh. Seb. Bachs (Wiesbaden 1950, Breitkopf & Härtel), noto al grande pubblico con la sigla BWV, ossia Bach-Werke-Verzeichnis. Nello specifico caso delle suites “inglesi”, si tratta dei numeri BWV 806-811.

    Forkel: Bach, vita arte e opere

    L’appellativo di suites “inglesi”, così come quello per le “francesi”, è posteriore e comunque non originale. Il primo ad utilizzarlo fu il biografo Johann Nikolaus Forkel (1749-1818), in una celebre monografia del 1802, da tempo disponibile anche in italiano.

    L’autore attribuisce il titolo alla redazione a seguito di una ipotetica commissione da parte di un non meglio identificato ricco dilettante di musica inglese. Infatti, in una particolare copia manoscritta redatta da Johann Christian Bach (1743-1814), detto Hallescher Clavier-Bach per distinguerlo dall’omonimo figlio londinese di Bach, nato nel 1735 e morto nel 1782, si legge la dicitura Suites faites pour les Anglois (“Suites fatte per gli Inglesi”). Ancora oggi l’annotazione del manoscritto custodito nella Biblioteca Albertina dell’Università di Lipsia (N. I. 10338, Fascicolo 1) è visibile, tra gli altri, sulla piattaforma IMSLP.

    Le fonti manoscritte

    Delle suites “inglesi” non possediamo in ogni caso né una copia autografa bachiana definitiva datata, né una pubblicazione a stampa autorizzata. Di converso, sono note oltre trenta fonti manoscritte secondarie, databili nel XVIII secolo.

    La suite per strumenti a tastiera al tempo di Bach

    La suite per strumento a tastiera si è evoluta in Francia, tra la seconda metà del XVII e i primi anni del XVIII secolo, a conclusione di una precedente fase rinascimentale e seicentesca: questa prevedeva l’accoppiamento di danze di carattere diverse (pavana e passamezzo, in tempo binario, alternate con saltarello e gagliarda, in tempo ternario).

    La forma della suite

    La prima formalizzazione nella forma canonica barocca di allemanda-corrente-sarabanda-giga si deve a Johann Jakob Froberger (1616-1667), nato a Stoccarda ma attivo anche in Francia, Italia, Olanda e Inghilterra. Fu autore di una trentina di composizioni così strutturate, in buona parte presenti nelle raccolte manoscritte.

    Gli ispiratori di Bach

    L’assetto essenzialmente italiano delle opere di Froberger viene ripreso dalla successiva generazione di liutisti e clavicembalisti francesi, rispettivamente Robert De Visée (1650-1725) e François Couperin (1668-1733), con evidenti correlazioni riguardo alle forme di danza nazionali.

    Bach conosceva certamente le opere di Couperin, ma anche quelle del francese poi naturalizzato inglese Charles Dieupart (1676-1751), di cui aveva personalmente realizzato la copia manoscritta delle Six Suittes de clavessin (Amsterdam, 1701), nel 1709 e nel 1714.

    Nelle sue composizioni Bach non dimentica certo la grande tradizione tedesca: in particolare, le suites dei predecessori Dietrich Buxtehude (1639-1707) e Johannes Pachelbel (1653-1706), nonché quelle del coetaneo Georg Böhm (1661-1733).

    Le suites per tastiera di Bach

    Le composizioni scritte per il clavier risentono non poco della produzione del periodo a livello europeo. Per le suites in particolare, egli dà prova di quanto fosse costantemente a conoscenza delle opere dei compositori a lui coevi.

    Ad esempio, alcune ricerche hanno dimostrato come il preludio della Prémier Suite, in la maggiore BWV 806, sia basata su una Gigue del già citato Charles Dieupart, musicista al tempo assai stimato in Inghilterra.

    A differenza infatti delle “francesi”, le suites “inglesi” prevedono, oltre ai movimenti obbligati e a quelli accessori, un preludio di apertura. In altra fonte relativa alla già citata BWV 806 compare infatti la dicitura iniziale: Prelude avec les Suites (“Preludio con le Suites”), a riprova del costante riferimento al repertorio francese. La particolare dicitura compare nel manoscritto redatto da Bernhard Christian Kayser (1705–1758) ed altri, e databile tra il 1717 e il 1725, quindi probabilmente si tratta di una fonte desunta direttamente da una coeva fonte originale bachiana andata perduta.

    Del resto, non è un caso che anche Georg Friedrich Händel (1685-1759), nelle sue otto grandi suites HWV 434-442 (Londra, Walsh, 1720-1732) utilizzi nel frontespizio la formula Suites de Pieces pour le Clavecin, a riprova della standardizzazione in francese delle composizioni per clavicembalo anche in terra inglese.

    Suites “Inglesi”, Suites “Francesi”, Partite “Tedesche”

    Le tre categorie principali di composizioni bachiane che rispondono al nome di suites sono: le “inglesi” (BWV 806-811), le “francesi” (BWV 812-817) e infine le partitetedesche” (BWV 825-830): tutte e tre le raccolte composte da sei serie ciascuna.

    Ad esse vanno aggiunte una Ouverture alla francese BWV 831 (pubblicata insieme alle Partite rispettivamente nella seconda e prima parte della raccolta a stampa del Clavierübung), due suites di fatto “francesi” (BWV 818 e 819) e tre per liuto (BWV 996-998), pensate queste ultime per un particolare tipo di strumento a tastiera, il lautenwerk.

    Da J. S. Bach a W. A. Mozart

    In mancanza di costose pubblicazioni a stampa, la musica per strumenti a tastiera come le suites veniva diffusa grazie all’opera di copiatura, effettuata in genere dalla cerchia degli allievi diretti. Tra i più noti, Johann Agricola (1720-1774), Johann Kirnberger (1721-1783) e Carl Fasch (1736-1800). Altri manoscritti, che ebbero pure una certa circolazione, vennero acquistati in seguito da appassionati musicisti dilettanti. È il caso del barone Gottfried van Swieten (1733-1803). Aristocratico olandese e diplomatico in Austria al servizio del Sacro Romano Impero, van Swieten coltivava una forte passione della musica, e mise a disposizione del giovane Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) la sua vasta biblioteca bachiana. A seguito di ciò, il figlio Mozart, Franz Xaver Mozart (1791-1844), ereditò alcune di quelle testimonianze musicali, permettendone la sopravvivenza e di conseguenza lo studio.

    La mancanza di un manoscritto autografo

    Si è già sottolineato come al momento delle suites “inglesi” non si abbia notizia di una fonte riconosciuta manoscritta bachiana, autografa e datata; né tantomeno esiste un’edizione a stampa, autorizzata o meno al tempo dell’autore.

    Ciò non vuol dire che Bach non avesse comunque a sua disposizione le proprie composizioni in bella copia. Più semplicemente, il considerevole corpus documentario bachiano fu soggetto, già in vita l’autore, a due fenomeni indipendenti ma paralleli.

    Da una parte, la naturale dispersione delle fonti stesse, causa non solo la numerosa famiglia ma anche la presenza di parecchi allievi residenti, nonché probabili donazioni a personaggi esterni alla cerchia domestica, editori compresi. Dall’altra parte, va considerata la necessità, didattica e tipicamente bachiana, di adattare le composizioni create allo studente di turno, per il ben noto fenomeno di riscrittura della fonte originaria stessa. Bach lavorava infatti di continuo sulle proprie composizioni, modificandole e migliorandole costantemente, spesso anche grazie a spunti inconsapevolmente fornitigli dagli allievi stessi. A loro volta, gli allievi, soprattutto quelli indiretti e successivi, tendevano nella trascrizione ad uniformarsi all’imperante nuovo stile di scrittura, soprattutto per gli abbellimenti e altri piccoli particolari della scrittura musicale bachiana; di fatto obbligando i musicologi ad effettuare una complessa opera di comparazione tra i vari testimoni.

    Bach e le composizioni “definitive”

    Ecco perché è molto difficile stabilire, almeno in certi ambiti come quello strumentale e solistico, quando una composizione bachiana possa definirsi davvero “definitiva”. Tendiamo infatti a sottovalutare un importante fenomeno: ossia, che nel periodo barocco il brano musicale nascesse di fatto solo in occasione della sua pubblica esecuzione. Il brano era per legato all’immanenza del momento, e veniva in genere eseguito direttamente dal compositore, che spesso tendeva ad eseguire a memoria. Quindi i due ruoli, oggi separati, del compositore e dell’esecutore, in Bach, come in tutti i musicisti del periodo barocco, coincidevano. E ciò aveva, tra i tanti effetti, anche quello di un non secondario feedback ossia informazione di ritorno sul brano stesso, assai meno impermeabile a stimoli esterni di quanto possiamo oggi pensare. Proprio perché l’idea di opera assoluta è frutto piuttosto del Romanticismo maturo di pieno Ottocento, essendo invece un concetto alquanto estraneo per l’estetica barocca.

    Le fonti delle Suites “Inglesi”

    Un modo per conoscere concretamente le differenze di scrittura relative alle varie redazioni che ci sono giunte delle Suites “Inglesi” consiste nella consultazione del sito Bach.digital.de.

    All’indomani del completamento della Neue Bach Ausgabe (1950-2000) prese infatti inizio un progetto di digitalizzazione di tutte le fonti musicali bachiane, e della loro parallela diffusione grazie allo sviluppo del web.

    Le fonti complete

    1. Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin – Preßischer Kulturbesitz, D-B Mus.ms Bach P 1072, Faszikel 2: Six Suittes avec Prelude pour le Clavecin. Bernhard Christian Kayser (1705–1758), Anonimi (BWV 807-811), circa 1717-1725.
    2. Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin (Amalienbibliothek), D-B Am.B 489: Suites. Johann Friedrich Agricola (1720–1774), Johann Philipp Kirnberger (1721–1783), Anonimi (1738-1740).
    3. Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, D-B Mus.ms. Bach P 291, Faszikel 6: Englische Suiten / vor Joh. Seb. Bach. Johann Friedrich Hering (1724-1810) e Anonimo, ca. 1765.
    4. Leipzig, Universitätsbibliothek, D-LEu N.I. 10338, Faszikel 1: Six grandes Suites / diter Suites anglais / pour le / Clavecin. Copista Johann Christian Bach, Hallescher Clavier-Bach (1743-1814), ca. 1769-1791.
    5. Berin, Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, D-B Mus.ms. Bach P 419: Sech Suiten Engl. Johann Christian Kittel (1732–1809), Johann Heinrich Michel (1739–1810), circa 1800.

    Tra le fonti incomplete

    1. Berea, Ohio, Baldwin-Wallace College, Riemenschneider-Bach Institute, Emilie and Karl Riemenschneider Memorial Bach Library (US-BER M2.1 M6, Kenney 539): Suite prémier/troisieme/ avec Prelude. Anonimo (BWV 806, 808).

    L’assetto delle sei Suites “Inglesi”

    • Suite I in la maggiore BWV 806
    • Suite II in la minore BWV 807
    • Suite III in sol minore BWV 808
    • Suite IV in fa maggiore BWV 809
    • Suite V in mi minore BWV 810
    • Suite VI in re minore BWV 811

    Ambiti tonali e richiami estetici

    Le suites per tastiera nascono con presumibili obiettivi sia didattici che editoriali. Ossia, lo studio pratico delle varie forme musicali, e un tentativo più o meno esplicito di approntare opere di più ampia circolazione, rispetto alla ristretta cerchia degli allievi diretti, sia per motivi economici che di fama.

    Anche le suites “inglesi” rispondono a queste due logiche, mostrando evidenti riferimenti formali di rimando e coerenza interna. Ne è una dimostrazione l’utilizzo delle tonalità, diatonicamente ordinate dall’alto verso il basso (con l’eccezione della sola coppia BWV 806/807, la maggiore/la minore), a coprire un intervallo di quinta giusta:

    • BWV 806: la maggiore
    • BWV 807: la minore
    • BWV 808: sol minore
    • BWV 809: fa maggiore
    • BWV 810: mi minore
    • BWV 811: re minore

    L’assetto tonale delle suites “inglesi”

    La scelta delle tonalità non è quindi casuale, ma scelte in funzione ad una precisa gamma espressiva, in base alla nota Affektenlehre ossia Teoria degli affetti. Trattandosi di un argomento realmente molto complesso ed articolato, può essere utile la consultazione dell’apposita voce edita dall’autorevole Grove’s Dictionary on line (BLAKE WILSON – GEORGE J. BUELOW – PETER A. HOYT, Rhetoric and Music, Grove Music Online, gennaio 2001).

    In ogni caso, Bach conosceva, e bene, le opere di eminenti studiosi d’area tedesca sull’argomento, quali Athanasius Kircher (1602-1680), Andreas Werckmeister (1645-1706), Johann David Heinichen (1683-1729) e Johann Mattheson (1681-1764).

    Le applicazioni pratiche della teoria degli affetti

    Proprio Mattheson si occupa di descrivere minuziosamente le caratteristiche delle tonalità nel Der volkommene Capellmeister (Amburgo, 1739), applicando letture interpretative anche per gli intervalli, le concatenazioni armoniche, le pulsazioni ritmiche, e quant’altro.

    Assai interessante è quindi ricavare un elenco degli affetti esplicitati dalle sei tonalità delle Suites “Inglesi” dalle parole stesse di Mattheson:

    La maggiore: «molto accattivante, e anche se brillante tende più al lamento e alle passioni tristi che al divertimento».

    La minore: «in qualche modo lamentosa, rispettabile e calma… invita a dormire ma assolutamente non sgradevole».

    Sol Minore: «la chiave più bella… notevole serietà mista ad amabile animosità… fascino e grazia… per lamenti teneri, moderati, bramosi e gioia contenuta».

    Fa Maggiore: «è capace di esprimere i sentimenti più belli del mondo… generosità, fermezza, amore, virtù».

    Mi minore: «con difficoltà esprime sentimenti di gioia… è contemplativa, carica di dolore e triste… ma spera nella consolazione. In qualche modo vivace… senza essere gioviale».

    Re minore: «devozionale e calmo, gradevole e soddisfacente».

    Gli sviluppi bachiani della Suite: movimenti obbligati e liberi

    La suite per tastiera è costituita per principio dalla composizione di quattro brani musicali, codificati come obbligati (ossia, sempre presenti), alternati da altri accessori, equivalenti al termine liberi.

    Movimenti obbligati

    Sono considerati movimenti obbligati, da Froberger in poi, allemande, courante, sarabande e gigue. La terminologia è prettamente francese, ma le effettive origini sono assai più complesse. Una costola a due dei quattro movimenti, courante e sarabande, è rappresentata dal double: ossia, una variazione, in genere melodica, alla struttura del movimento a cui fa riferimento (presenti rispettivamente nelle suites BW 806 e 809). Sempre la courante può suddividersi in doppio ed indipendenti movimenti (è il caso della suite BWV 806), mentre la sarabande può avvalersi di una formula alternativa, rappresentata dagli agrèments scritti, suites BWV 807 e 808).

    Movimenti liberi

    Nel caso specifico delle Suites “Inglesi”, i movimenti liberi sono ispirati a quattro danze in voga nel Settecento europeo: bourrée, gavotte, passpied, menuet. Sostanzialmente, si tratta di brani nati come danze di corte nella Versailles di Luigi XIV (il Re Sole) e poi, tra fine Seicento e primo Settecento, diffusesi con successo in tutta Europa.

    Bach, come molti altri compositori, ne utilizza le formule non solo nelle opere per strumenti a tastiera, ma anche in opere strumentali. Non è un caso che il nostro Johann componga, proprio negli anni della redazione delle Suites “Inglesi”, i sei Concerti Brandeburghesi BWV 1046-1051, esplicitamente strutturati in molte parti come elenco di danze di corte francesi. Tutte le forme su menzionate vengono presentate in coppia, dal diverso carattere e pulsazione ritmica, ma sempre e comunque con ripresa (forma detta, in gergo tecnico, ABA).

    Tavola dei rimandi strutturali nelle Suites “Inglesi”

    Un modo di lettura veloce per comprendere la strutturazione delle sei suites è quello di visualizzare aspetti comuni ed elementi caratterizzanti di quella composizione grazie alla differenziazione per colori.

    1. Prélude

    2. Allemande

    3. Courante

    • Courante I
    • Courante II avec Doubles (I – II)

    4. Sarabande

    • Les agréments
    • Les agréments
    • avec Double

    [Movimenti liberi]:

    • Bourrée (I – II – I)
    • Bourrée (I – II – I)
    • Gavotte (I – II – I)
    • Menuet (I – II – I) 
    • Passpied (I – II – I)
    • Gavotte (I – II – I)

    5. Gigue

    LEGENDA

    NERO BWV 806-811

    BLU BWV 806

    VERDE BWV 807

    ARANCIONE BWV 808

    ROSSO BWV 809

    VIOLA BWV 810

    MARRONE BWV 811

    Bach e la danza

    Sia i movimenti obbligati che quelli liberi delle suites “inglesi” presentano evidenti e comprovati riferimenti alla pratica coreutica del tempo. Quelli obbligati (allemande, sarabande, courante, gigue) risentono di un’effettiva traduzione pratica strumentale, legata anche alle caratteristiche foniche e strutturali dello strumento a tastiera. I liberi sono invece una oggettiva documentazione storica di due diversi fenomeni, entrambi correlati alle galanteries.

    Per galanteries Bach e i suoi contemporanei indicavano quelle composizioni poste dopo la sarabande e prima della conclusiva gigue. Di fatto, l’originaria suite frobergeriana con Bach raggiunge un assetto definitivo, andando incontro, grazie alla presenza del preludio iniziale, alla sempre maggiore attenzione del compositore ai cambiamenti di gusto della società.

    Non è quindi un caso che l’opera di Bach, a differenza ad esempio di quella di un Couperin, comunque riservata ad una ristretta ed elitaria classe sociale, sancisca di fatto una lettura borghese della suite, soprattutto nella Germania del suo tempo. Si dice che lo stesso Bach, a Lipsia, non disdegnasse di recarsi a ballare regolarmente nei caffè alla moda. E pare che ai tempi di Cöthen abbia effettivamente seguito lezioni di danza sotto l’esperta guida di un maître de dance.

    Le Maître de dance

    La danza francese aveva raggiunto, dal 1650 circa in poi, livelli standardizzati di difficoltà esecutiva e raffinatezza invidiati in tutta Europa: Versailles fu, anche nel primo Settecento, il vero modello di riferimento. Di conseguenza, il maître de dance francese era rinomato non solo in Francia, ma particolarmente ricercato anche nelle regioni centrali d’Europa, a cominciare dalla Germania.

    Sia le piccole corti di Cöthen e Weimar, che i grandi centri mercantili di Lipsia o Amburgo, erano sempre alla ricerca di novità, al passo con la moda. Non è un caso che a Lipsia nel 1701 fossero registrati appena tre maestri di danza d’origine francese, divenuti già venti nel 1736.

    Der Tanzmeister

    Una preziosa testimonianza di quanto fosse diffusa la cultura francese anche in ambito musicale è comprovata da un’interessante testimonianza delle arti e mestieri in Germania, redatta da Cristoph Weigel (1654-1725), dal titolo Abbildung der Gemein-Nutzlichen Haupt-Stände (Regensburg, Weigel, 1698). La riproduzione del maestro di danza è sintomatica di una consolidata riappropriazione su base oramai centro europea degli stilemi francesi da parte della cultura tedesca. E Bach diventa forse il miglior interprete in terra germanica di una rivisitazione della suite francese alla tastiera, con modalità per di più assolutamente originali.

    Due chiavi di lettura

    Bach non si limita mai a comporre musica “piacevole” oppure strutturalmente complessa, come fa invece la maggior parte dei suoi colleghi, da Mattheson a Telemann. Il nostro Johann considera sempre essere parte della comunicazione musicale il riferimento a più sottili ed implicite chiavi di lettura. Un approccio per molti versi affine al concetto di musica reservata, e che talvolta fanno sembrare criptiche se non addirittura elitarie le sue composizioni.

    La Gematria

    Il ricorso alla gematria, di origine ebraica, era usualmente applicata in ambito musicale, abbinando ai numeri le note. Bach potrebbe esserne venuto a conoscenza diretta grazie al trattato di Andreas Werckmeister (1645-1706), Musicae mathematicae hodegus curiosus oder Richtiger Musicalischer Wegeiser (Lipsia, 1687). Werckmeister che vedeva nei numeri, coerentemente con la professione di fede luterana, la possibilità di avvicinarsi alla perfezione divina:

    «così come Dio tutto ha ordinato secondo numeri, peso e misura»

    (Cribrum musicum)

    In questa ottica, il numero 6 (“La Creazione”, o Hexameron), come il numero delle suites “inglesi”, è numero perfetto, perché somma e prodotto delle sue componenti (1+2+3, ossia, 1x2x3). Esso si alterna al numero 5 (“L’Uomo”: testa, due braccia, due gambe; visualizzato anche dal pentagramma): guarda caso, come l’intervallo re-la, ambitus tra le due tonalità estreme della medesima raccolta.

    Jesu, meine Freude

    L’ultima chiave di lettura che presento in questo approfondimento riguarda un’ulteriore livello, la dedica in qualche modo diretta a Dio, e contestualmente l’auto citazione di altre personali composizioni musicali.

    Si tratta della melodia Jesu, meine Freude (“Gesù, mia Gioia”): un corale luterano, il cui testo venne elaborato da Johann Franck (1618-1677), un poeta dal quale più volte Bach trasse i testi per delle sue cantate, e pubblicato da Johann Crüger nella raccolta Praxis pietatis melica (Berlino, 1653).

    Bach utilizza diffusamente la melodia come cantus firmus in varie composizioni sacre (ad esempio, la cantata BWV 12) ed anche in più tonalità, quali mi minore e sol minore. La versione in re minore è utilizzata nella cantata Jesu, der du meine Seele BWV 78 e nei seguenti omonimi brani musicali:

    • Corale a 4 parti, BWV 87/7
    • Corale a 4 voci, BWV 358
    • Corale per organo, BWV 1105 (raccolta dei cosiddetti “Corali Neumeister”)
    • Preludio Corale ornato per clavier, BWV 753 (Clavierbüchlein für W. Friedmann Bach)

    Nelle suites “inglesi” la citazione della melodia del corale è presente nella dispositio delle tonalità:

    • BWV 806: la maggiore
    • BWV 807: la minore
    • BWV 808: sol minore
    • BWV 809: fa maggiore
    • BWV 810: mi minore
    • BWV 811: re minore

    Facendo doveroso omaggio a questo artificium, è divenuta mia abitudine eseguire, all’inizio e in conclusione delle sei Suites “Inglesi”, il corale Jesu, meine freude nella versione per corale a 4 parti.

    Approfondimenti bibliografici

    Purtroppo la bibliografia esistente sull’argomento è scarna, anche in caso di testi specialistici dal taglio universitario. Ancora più evidente la lacuna per l’Italia, se si pensa che, tranne qualche eccezione, si tratta in massima parte della traduzione di pubblicazioni estere.

    Bibliografia inglese

    ERWIN BODKY, The interpretation of Bach’s Keyboard Works, Cambridge, USA, Harvard University Press, 1960.

    GEORGE KOCHEVITSKY, Performing Bach’s Keyboard Music, New York, USA, Pro/Am Music, 1996.

    MEREDITH LITTLE – NATALIE JENNE, Dance and the Music of J. S. Bach, BWV 806-811, Indiana University Press, USA, 1991-2001.

    KAREN SHANK, The Keyboard Suites of Johann Sebastian Bach, Honors Theses. 503, Quachita Baptist University, USA, 1971.

    DAVID SCHULENBERG, The Keyboard Music of J. S. Bach, New York, Routledge, II edizione, 2006, in particolare pp. 275-298.

    PETER WATCHORN, A performers’ Guide to the English Suites fo J. S. Bach, BWV 806-811, Boston University, School of the Arts, Doctor of Musical Arts, Boston, USA, 1995.

    Bibliografia italiana

    PAUL BADURA-SKODA, Interpretare Bach su strumenti a tastiera, traduzione italiana a cura di Maria Teresa Bora-Ravetta, Sannicandro Garganico, Gioiosa Editrice, 1998.

    ALBERTO BASSO, Frau Musika, La vita e le opere di J. S. Bach, Torino, Edt, 1985-2018, vol. I, pp. 665-670.

    NIKOLAUS FORKEL, Vita, arte ed opere di Johann Sebastian Bach, traduzione italiana a cura di Lily Seppilli Sternbach, Milano Curci, 1982, pp.

    ALBERTO TESTA, Allemanda, corrente, minuetto, polonaise, ciaccona, passacaglia, sarabanda, giga: la musica di Bach è piena di danze. Ballare al ritmo di Suite, in GIORGIO DELL’ARTI (a cura di), Il romanzo della musica: Bach e il suo tempo, inserto de «La Repubblica», Milano, Gruppo Editoriale L’Espresso, n. 1, 1987, pp. 32-33 e 81-82.

    Immagini:

    1. Suite “Inglese” in la maggiore BWV 806, Prelude, manoscritto P 419
    2. Frontespizio dello spartito manoscritto autografo del Libro quarto di Toccate, Ricercari, Capricci, Allemande, Gigue, Courante, Sarabande. Manoscritto autografo, Vienna, 1656. Österreichische Nationalbibliothek, Musiksammlung, Mus. Hs. 18707
    3. Frontespizio delle Suites de Pieces pour le Clavecin di G. F. Händel (Londra, Walsh, 1720)

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *